A cura di Daniela Scafaro.
Donne e lavoro sono
sempre stati un binomio controverso.
Per millenni
identificate col focolare domestico e con la cura dei figli, le donne hanno
dovuto penare molto per vedersi riconosciuti diritti e opportunità nel mondo
del lavoro, storicamente dominio del maschio.
Ad esempio, la legge
del 17 luglio del 1919, “Norme circa la
capacità giuridica della donna” che ebbe il merito di svincolare le donne
dall’autorizzazione maritale (art.3) e di abrogare il diritto di opposizione
del marito (art.5), riconosceva sì, per la prima volta, alle donne il diritto di
esercitare, a pari titolo degli uomini, un impiego pubblico, ma le escludeva
tuttavia da tutti quelli che implicassero poteri pubblici giurisdizionali o
l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o ancora che attenessero alla difesa militare
dello Stato. (Alberton, A.M., 2018; donne & diritti. Osservatorio di
storiografia giuridica).
Lontani anni luce dai
quei tempi, potremmo pensare.
Ma siamo sicuri di
poter tirare un sospiro di sollievo? Le statistiche mostrano che purtroppo
ancora oggi l’accesso alle posizioni di vertice, soprattutto in ambiti come la
politica e l’imprenditoria, resta appannaggio prioritariamente maschile; mentre
le donne, in percentuale, svolgono professioni meno qualificanti e con
condizioni più svantaggiose (a parità di competenze).
E
i problemi ahinoi non finiscono qui…
Basti pensare alla
questione della maternità e alle scarse tutele che, ancor oggi, vengono
garantite alle donne lavoratrici e madri.
Il
congedo di maternità, inizialmente della durata di un mese, fu introdotto nel
1902 insieme all’obbligo di istituire, nelle fabbriche con almeno 50 operaie,
una camera speciale per l’allattamento.
Dovranno passare circa
30 anni (1934) affinché il congedo venga ulteriormente esteso (un mese prima e
sei settimane dopo il parto) e affinché venga introdotto il divieto di
licenziare la lavoratrice durante la gravidanza e il congedo di maternità
(donne&diritti. Osservatorio di storiografia giuridica)
A fronte della tutela
finalmente raggiunta, queste leggi, purtroppo, ottennero l’effetto collaterale
di disincentivare l’assunzione di donne, per le quali ancora oggi, non è raro
trovarsi di fronte alla richiesta di firmare lettere di dimissioni in bianco da
utilizzare in caso sopraggiungesse il desiderio di sposarsi e/o avere un figlio
(nonostante esista da tempo una legge che lo vieti).
Inoltre
l’assenza di adeguati sistemi di welfare a sostegno della famiglia e il
perpetrarsi nell’immaginario collettivo dell’idea della donna come dedita
primariamente alla cura dei figli, disincentiva l’occupazione femminile
(Alberton A.M., 2018) o la rende particolarmente complicata e frustrante.
Che una donna occupata
su tre svolga un impiego part-time (a fronte di una percentuale nettamente più
bassa negli uomini), che il 30 per cento delle donne lasci il proprio lavoro
dopo la nascita di un figlio, ci dà la misura di quanto lavoro e famiglia
rimangano ancora “percorsi paralleli e spesso incompatibili” (Censis, Donne:
lontane dagli uomini e lontane dall’Europa, il gender gap nel lavoro).
Donne
e lavoro: un binomio forse non più impossibile ma senz’altro ancora tanto
controverso, che rende necessarie ulteriori riflessioni ma soprattutto azioni
concrete affinché’ si possa realmente parlare di pari opportunità.
Riferimenti
ALBERTON. A.M. (2018). Questione femminile e mondo del lavoro. Pearson Italia spa
Censis - Donne: lontane dagli uomini e lontane dall’Europa, il
gender gap nel lavoro http://www.censis.it/sicurezza-e-cittadinanza/donne-lontane-dagli-uomini-e-lontane-dall%E2%80%99europa-il-gender-gap-nel-lavoro
donne & diritti.
Osservatorio di storiografia
giuridica
http://www1.unipa.it/storichedeldiritto/Materiali/FONTI/Leggi_Cont/L_19-07-1902.html