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DONNE NELLE IMPRESE A CONDUZIONE FAMILIARE: TRA INVISIBILITÀ E RESPONSABILITÀ

Donne e uomini che danno vita ad un progetto

A cura di Camilla Esposito.

L’Italia è la patria delle piccole e micro imprese a conduzione familiare. Inoltre, alcuni studi recenti ci dicono che la presenza delle donne nelle family firm (imprese familiari) è più accentuata rispetto alla loro presenza nelle imprese di natura non familiare (Gnan, Montemerlo, 2008). Sebbene oggi sia evidentemente riconosciuto l’impatto significativo della presenza delle donne per il buon funzionamento dell’azienda, il loro contributo è spesso sottovalutato. Ne è la prova, nonché conseguenza, il fatto che esse siano poco coinvolte nei processi decisionali, che il loro impegno non sia adeguatamente remunerato in termini di salario e di posizione aziendale. D’altronde, il Diversity Management, ossia quell’insieme di pratiche e politiche volte a valorizzare la diversità all’interno di un ambiente di lavoro, rappresenta in generale un promettente incremento dell’azienda stessa. La diversità è un elemento intrinseco della società.
Lo confermano alcuni numeri rappresentativi: circa il 15% della popolazione mondiale presenta almeno una forma di disabilità; la popolazione LGBT stimata a livello global ha raggiunto ormai i 450 milioni; le minoranze religiose presenti in Italia rappresentano circa il 30% del totale; la popolazione straniera residente in Italia è circa l’8,3% del totale. Il Diversity Management fa bene al business: i consumatori e le consumatrici preferiscono brand e aziende che valorizzano le differenze. Tornando alle piccole imprese a conduzione familiare, ci accorgiamo che all’interno di esse prevale un modello culturale di tipo tradizionale basato sull’attribuzione di ruoli ben distinti all’uomo e alla donna. Poiché nelle imprese familiari i confini tra impresa e famiglia sono spesso sottili e poco definiti, all’interno dell’impresa tendono a riproporsi gli stessi schemi e le stesse dinamiche relazionali prevalenti nell’ambiente familiare. La conseguenza è che anche all’interno dell’impresa le donne si ritrovano spesso costrette a ricoprire, a volte anche gratuitamente, funzioni ancillari e di supporto rispetto alla figura maschile, a cui sono riservate le posizioni di maggiore responsabilità e potere. Infatti, il lavoro non pagato delle donne è concepito come una naturale estensione del ruolo di supporto e assistenza che le donne tradizionalmente svolgono all’interno della famiglia.
Sono stati individuati differenti profili di donne all’interno delle imprese a conduzione familiare:
·         le donne “totalmente invisibili”, ossia coloro che svolgono un’attività in azienda, coadiuvando la figura maschile nel suo lavoro, ma senza avere alcun ruolo, né essere retribuite. In questo caso, l’assistenza prestata da mogli-madri-sorelle-figlie al lavoro dell'uomo viene vista come un’estensione dell’attività di cura della famiglia;
·         le donne “prestanome”, ossia coloro che hanno soltanto un ruolo formale in azienda. Esse fanno parte della compagine sociale dell’impresa (in qualità di socie) e/o partecipano agli organi di governo, ma non esercitano i diritti loro spettanti in quanto socie e/o amministratrici. Nella migliore delle ipotesi percepiscono il compenso spettante, ma dal punto di vista decisionale non hanno alcun peso e si limitano a ratificare le scelte compiute dalla figura maschile leader dell’impresa;
·         le donne “co-imprenditrici”, coloro che hanno un ruolo formale e sostanziale nell’impresa. Si tratta di donne che lavorano nell’azienda di famiglia in posizioni di responsabilità, ma che rinunciano alla leadership dell’impresa a favore del marito, del fratello, del padre o del figlio, anche se di fatto spesso lo supportano in tutte le scelte strategiche. Queste donne possono essere socie dell’impresa, avere un ruolo negli organi di governo della società e negli organi gestionali, possono coadiuvare la figura maschile in tutti i processi decisionali eppure esse restano non visibili all’esterno, ovvero non riconosciute come co-leader della figura maschile, che resta l’unico punto di riferimento per tutti i principali stakeholder dell’impresa.
Ai profili descritti occorre aggiungere quello delle donne che sono state completamente escluse dell’azienda di famiglia, con la quale quindi non hanno alcun rapporto, né formale né di collaborazione, anche se avrebbero voluto. Nonostante i profili presentati prendono in esame soltanto le donne che hanno un ruolo e/o svolgono un’attività nell’azienda di famiglia, le donne “escluse” rappresentano un’altra importante espressione dell’invisibilità femminile, spesso frutto di vere e proprie discriminazioni di genere.

 

 

 

 
 

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