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Invertiti, Edonisti, Travestiti…Persone. La de-patologizzazione delle persone TGNC

bandiera dei diritti delle persone trans


A cura di Daniela Scafaro

La World Professional Association for Transgender Health (WPATH) ribadisce e promuove il riconoscimento delle identità transgender e gender non conforming quali variazioni normali del comportamento e dell’espressione di genere. Pertanto, in questa prospettiva, l’associazione sostiene il superamento di una visione tesa a considerare come patologiche e/o anormali le persone la cui espressione di genere o identità di genere, risulti non completamente sovrapponibile ai canoni e alle attese comportamentali culturalmente determinati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, facendo proprie queste riflessioni, grazie all’istituzione di un gruppo di lavoro appositamente dedicato alla Classificazione dei disturbi sessuali e della salute sessuale (Drescher, Cohen-Kettenis&Winter, 2012), si è resa promotrice del diritto di espressione di sé, restituendo dignità a tutte quelle identità da sempre considerate devianti e per questo marginalizzate. Infatti la pubblicazione dell’ultima versione dell’International Classification of Diseas (ICD-11), segna una svolta epocale con il passaggio dalla diagnosi di “disturbo dell’identità di genere” (collocata nella sezione dei disturbi mentali), a quella di “incongruenza di genere” (che rientra invece nella sezione dedicata alla salute sessuale). Questo risultato è l’esito di un processo lungo secoli durante il quale le persone TGNC (transgender e gender non conforming), ancor più di quanto accaduto alle persone omosessuali, sono state vittime di stigmatizzazioni e fantasiose credenze da parte non solo dell’opinione comune ma anche della stessa comunità scientifica, con conseguenze infauste sul loro benessere psico-sociale. A fine ottocento, nel trattato Psychopatiasexualis di Krafft-Ebing troviamo le prime documentazioni di casi sia di persone che desideravano vivere e comportarsi come appartenenti al sesso opposto, sia di persone che già conducevano la propria esistenza in accordo alla percezione del proprio genere. Lo psichiatra, operando una parziale sovrapposizione tra le dimensioni di orientamento sessuale e identità di genere, interpreta entrambi i fenomeni in chiave patologica, riferendosi all’omosessualità come “inversione sessuale” e riconducendo il transgenderismo ad una forma paranoide.
Sempre a fine 800, Westphal studiò più di duecento casi di omosessualità elaborando il concetto di“konträreSexualempfindung”, tradotto in italiano come “sessualità contraria”, “invertita”, aggettivo quest’ultimo che divenne di uso comune per riferirsi alle persone omosessuali ma che, come sottolinea Wayne, non sembra confinato alla scelta dell’oggetto sessuale ma riferirsi anche ad una serie di comportamenti “devianti” rispetto al genere e dunque riferirsi anche all’identità di genere[1]. Ad inizio ’900 Havelock Ellis pubblicò un saggio sul concetto di inversione sesso-estetica e, successivamente, coniò il termine eonismo spiegando che con esso si riferiva all’atteggiamento estetico di imitazione ed identificazione con l’oggetto ammirato/amato (che in una prospettiva eterosessista per l’uomo era la donna), che, secondo lo studioso, nel caso dell’eonista sarebbe portato alle estreme conseguenze a causa di una sessualità virile “difettosa” e della presenza di un forte elemento femminile.
Ellis classificò l’eonismo come “forma transitoria o intermedia della sessualità”. Successivamente, Hirschfeld, scienziato berlinese che pubblicò la prima rivista di sessuologia, introdusse il termine “travestito” per distinguere il desiderio “omosessuale”, che si rivolge verso persone del proprio stesso sesso, dal desiderio del soggetto travestiti sta che, identificandosi in un genere diverso da quello assegnato alla nascita desidera esservi riconosciuto e pertanto vi “adegua” il proprio aspetto mediante l’abbigliamento. Sarà poi nella seconda metà del’900 che verrà tracciata, con Benjamin, una distinzione tra transessualismo e travestitismo laddove il primo intende procedere chirurgicamente sul proprio corpo non trovando “conforto” nel solo abbigliarsi come esponente del sesso opposto. La riflessione su questi temi si complessifica, in epoca più recente, con la differenziazione tra i concetti di sesso e genere che, pur non essendosi tradotta in un cambiamento tout court del discorso medico relativo a queste tematiche, introduce un nuovo modo di guardare a queste identità.
Sono trascorsi parecchi anni dall’introduzione (1980) del transessualismo (e del corrispettivo disturbo dell’identità di genere nell’infanzia) nel Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM), attualmente giunto alla quinta edizione (DSM-5). Nonostante oggi siparli di disforia di genere,definita come “un profondo sentimento di disagio e di sofferenza vissuto in relazione alla discrepanza, o incongruenza, tra la propria espressione di genere e il sesso assegnato alla nascita, al ruolo di genere ad esso associato e/o alle proprie caratteristiche anatomiche sessuali secondarie” (American Psychiatric Association, 2013), e non più di disturbo dell’identità di genere (DSM-IV), il mondo scientifico continua a dibattere su questi temi cercando di trovare “soluzioni” capaci di restituire dignità e legittimità di esistenza alle persone trans* garantendo, al contempo la possibilità di accesso alle cure sanitarie. Infatti, se da un lato l’eliminazione dal DSM e dall’ICD di qualsiasi etichetta diagnostica connessa all’identità di genere sembrerebbe l’unico modo per sancire una chiara e netta de-patologizzazione delle persone transgender e gender non conforming, dall’altro è proprio l’esistenza di tali diagnosi l’unico modo per tutelare l’accesso alle cure e sostenere economicamente le persone che decidano di intraprendere un percorso di SRS (sex reassignment surgery). La riflessione è insomma ancora aperta e richiede l’impegno di quanti si occupano di questi temi. L’auspicio è che le scelte della comunità scientifica possano mostrare una sempre crescente sensibilità nei confronti di questa popolazione nel riconoscimento della dimensione umana al di là delle “etichette”.    


Bibliografia

American, Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.
Drescher, J., Cohen-Kettenis, P., Winter, S., (2012). Minding the Body: Situating Gender Identity Diagnoses in the ICD-11, International Review of Psychiatry 24, No. 24 (6): 568-577.
Valerio, P., Fazzari, P. (2016).Dilemmi e controversie nell’inquadramento diagnostico delle identità transgender e delle identità di genere non conformi. Questione giustizia. 2/2016, 210-219.
Wayne R. Dynes (ed.), 1990. Encyclopedia of Homosexuality. New York: Garland; George Chauncey Jr., 1983. "From Sexual Inversion to Homosexuality: Medicine and the Changing Conceptualization of Female Deviance".
Salmagundi. 58/59 (Fall 1982/Winter 1983): 114-146 Zanotti P. (2005) Il Gay. Dove si racconta come è stata inventata l’identità omosessuale. Fazi Editore.

[1]Con la locuzione “konträreSexualempfindung”Westphal si riferiva ad un’inversione dell’istinto sessuale tale per cui una donna è fisicamente una donna, ma psicologicamente un uomo e viceversa.

 

 

 

 
 

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