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Cure me, I'm gay

Il controverso rapporto tra omosessualità e salute mentale

Un uomo con lo stetoscopio e un cartello in mano, recante la scritta "cure me, I'm gay"

A cura di Daniela Scafaro

Cure me, I'm gay - Mi curi, sono gay è il titolo di un "docureality" in cui mi sono casualmente imbattuta girovagando per il web e di cui ho potuto guardare solo una sorta di piccolo "trailer" (https://www.youtube.com/watch?v=s8aMdexrPW0) dal momento che il  format, trasmesso dalla rete britannica Channel 4, non è ancora giunto in Italia (e chissà se mai vi giungerà).
Nonostante il titolo possa sembrare ambiguo, a quanto ho capito, è più che altro volutamente provocatorio. Il programma, affidato al  Dott. Christian Jessen, noto ai più come volto di alcuni programmi in onda su Real Time, si propone di esplorare il mondo delle cosiddette  "terapie riparative".
Oltre ad intervistare coloro che si sono sottoposti a queste famigerate "cure" (alcuni persino ritenendole efficaci), nel suo viaggio tra USA e Regno Unito, il Dott. Jessen, dichiaratamente omosessuale, ha anche scelto di sottoporsi  in prima persona ad alcune di queste barbare pratiche.
Nel breve frammento di video che pubblicizza il documentario, s'intravede come - in una sorta di inquietante "ispirazione kubrickiana"- dopo aver bevuto un sostanza in grado di indurre nausea e vomito, all'uomo vengano presentate alcune immagini di uomini nudi...
Purtroppo simili atrocità non rappresentano certo una novità. Gli omosessuali hanno sempre dovuto fare i conti con persecuzioni e violenze che raramente hanno visto tregua esprimendosi in modi diversi a seconda del momento storico; questa lunga storia di crudeltà ha lasciato tracce indelebili nella coscienza di gay e lesbiche al punto che essi stessi sono arrivati a considerare la violenza di cui ancora oggi sono vittime come qualcosa di normale e in un certo senso inevitabile (Borrillo, 2009; Lingiardi & Vassallo, 2011).
Tutto questo unitamente all'atteggiamento socio-culturale eterosessista ha fortemente influenzato le convinzioni di medici e psicologi innescando un vero e proprio circolo vizioso per cui da una parte la ricerca scientifica rispecchiava il pregiudizio dilagante e, dall'altra, la comune intolleranza diffusa a tutti i livelli sociali trovava conforto e una valida legittimazione nelle teorie scientifiche (?), oltre che nella condanna religiosa, morale e penale di cui gli omosessuali sono stati vittime per secoli (Montano, 2000).
Fino alla fine del XIX sec. l'omosessualità era ancora considerata una patologia psichiatrica e il paradigma prevalente era quello dell'inversione (dei tratti di genere), cui si cercava di porre rimedio con trattamenti d'inaudita crudeltà (ricondizionamento masturbatorio, clitoridectomia, terapia ormonale, somministrazione di LSD, elettroshock, ipnosi, terapia avversiva, lobotomia) che miravano all'a-sessualizzazione o alla riconversione all'eterosessualità (Katz, 1976).
Alla base di simili atrocità c'era la convinzione che lo sviluppo psicosessuale fosse un processo rigidamente articolato in tappe che, se adeguatamente superate, avrebbero condotto il soggetto all'eterosessualità intesa come approdo normativo e garanzia di maturità e salute mentale. L'univocità e rigidità di questo modello di sviluppo hanno fatto sì che il discorso sull'eziologia andasse a coincidere con quello sulla patologia: non solo l'eventualità di un orientamento omosessuale "normale" non veniva affatto contemplata ma, soprattutto, si riteneva che l'omosessualità fosse determinata da cause patologiche di cui, di conseguenza, si andò alla ricerca (rapporto troppo intimo con la madre, assenza del padre, esperienze traumatiche...).
Solo negli ultimi trent'anni sono stati fatti dei passi avanti e ci sono state innovazioni di rilievo che hanno portato a riconoscere come arbitraria qualsiasi classificazione o gerarchizzazione degli orientamenti sessuali. Se infatti può sembrare legittimo interrogarsi sui propri desideri o cercare di conoscere le ragioni che condizionano le proprie preferenze sessuali, la problematizzazione di un tipo di desiderio a scapito di tutti gli altri costituisce di per sé una forma di omofobia in quanto si fonda sul pregiudizio che esista una sessualità normale, compiuta e completa (l'eterosessualità) e che solo le persone che vi si conformano possano essere considerate "normali" (Dorais, 1994).
Sarà però solo tra gli anni '70 e '80 che si assisterà ad un radicale cambiamento grazie al contributo del nascente associazionismo (movimenti di liberazione omosessuale) nella lotta all'emancipazione dell'universo LGBT (acronimo che diverrà comune a partire dagli anni '90) e ad alcuni studi empirici di tipo comparativo (Kinsey et al., 1948; Kinsey et al., 1953) che hanno smentito l'ipotesi di una correlazione tra orientamento omosessuale e disturbi mentali mettendo inoltre in evidenza l'estrema variabilità del comportamento sessuale.
L'evento che sicuramente ha costituito uno spartiacque, segnando un punto di svolta nella progressiva nascita di una nuova consapevolezza in merito al tema dell'omosessualità, è stata la pubblicazione nel 1972 del libro "Society and the healthy homosexual" dello psicologo americano Weinberg,  in cui per la prima volta compare il concetto di "omofobia" che si rivelerà rivoluzionario e che permetterà di ribaltare la questione spostando il "problema" dall'omosessualità all'atteggiamento stigmatizzante degli eterosessuali nei confronti di gay e lesbiche (e alle sue conseguenze) inaugurando un nuovo filone di studi.
Nel 1973 l'American Psychiatric Association (APA) rimuove l'omosessualità egosintonica dalla lista delle malattie mentali del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM). Nel 1987 viene abolita anche la diagnosi di omosessualità "egodistonica" evidenziando così il legame tra la non accettazione del proprio orientamento sessuale e l'interiorizzazione dell'ostilità sociale (omofobia interiorizzata). Nel 1993 la stessa decisione sarà ufficialmente condivisa dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Più recentemente, infine,  ulteriori passi in avanti sono stati mossi grazie al filone dei Sex & Gender Studies che radicano il nuovo paradigma interpretativo dell'omosessualità nell'ambito della riflessione sul concetto di genere come costruzione sociale che si origina nell'evoluzione della cultura umana e non nella biologia (Lorber, 1994).
Nel 2000 l'APA emette un documento, Position Statement on Therapies Focused on Attempts to Change Sexual Orientation - Reparative or Conversion Therapies, in cui:
disconosce qualunque trattamento psichiatrico basato sull'assunto che l'omosessualità possa essere un disturbo mentale e mirato a indurre il soggetto a modificare il proprio orientamento sessuale; sottolinea l'assenza di dati scientifici rigorosi a sostegno delle terapie riparative; mette in guardia dai danni procurati dalle stesse.
Sempre nel 2000 e con più decisione nel 2005, l'APA si esprime inoltre a favore delle unioni civili tra persone dello stesso sesso specificando che non si tratta di una presa di posizione "politico-legale" ma di un intervento per la tutela della salute psichica delle persone omosessuali che devono poter beneficiare, come tutti i cittadini, dei vantaggi affettivi e cognitivi derivati dalla sicurezza e dal riconoscimento sociale delle loro relazioni.
Si è arrivati quindi all'idea che non esiste un orientamento sessuale subalterno e uno normativo, uno naturale e l'altro innaturale ma percorsi diversificati e orientamenti alternativi dotati di pari legittimità. Le persone omosessuali condividono la medesima eventualità di quelle eterosessuali d'incorrere, nell'arco della propria esistenza, in una qualche patologia mentale: la fonte dei problemi che spesso affliggono gay e lesbiche è infatti per lo più da ricondurre all'interazione con un ambiente sociale stigmatizzante e discriminatorio.
Oggi, alla luce di questa nuova consapevolezza, escludendo l'isolata attività di qualche folle (si veda Joseph Nicolosi e il NARTH - Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia dell'Omosessualità), la psicoterapia con gay e lesbiche si pone quindi l'obiettivo di aiutare le persone a riconoscere e rispettare le direzioni del proprio desiderio e a comporre il senso assolutamente personale della propria identità tra genere, orientamento sessuale e cultura sociale (Lingiardi, 2007) in modo da facilitare l'acquisizione di strumenti per fronteggiare al meglio l'omofobia, sia quella interiorizzata che quella presente nella società (Rigliano e Graglia, 2006; Rigliano, Ciliberto, Ferrari, 2012). 


Riferimenti


·         Borrillo D., Omofobia. Storia e critica di un pregiudizio, Edizioni Dedalo, Libelli vecchi e nuovi, Nr. 13, Bari, 2009. ·         Dorais M. (1999), Eloge de la diversité sexuelle, VLB, Montreal.
·         Katz J. (1976): Gay american history, .Crowell, New York
·         Kinsey A.C., Pomeroy W.B., Martin C.E. (1948), Sexual Behavior in the Human Male, Sanders, Philadelphia, trad. comportamento sessuale dell'uomo, Bompiani, Milano (1950). It. Il
·         Kinsey A.C., Pomeroy W.B., Martin C.E., Gebhard P.H. (1953), Sexual Behavior in the Human Female, Philadelphia, Sanders.
·         Lingiardi V., Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, il Saggiatore, Milano, 2007.
·         Lingiardi V., Vassallo N., Classificazioni Sospette, In Nussbaum M.C., Disgusto e Umanità. L'orientamento sessuale di fronte alla legge, Il Saggiatore, Milano, 2011.
·         Lorber J. (1994), L'invenzione dei sessi, Il Saggiatore, Milano.
·         Montano A. (2000), Psicoterapia con clienti omosessuali, McGraw-Hill, Milano.
·         Rigliano P., Graglia M. (a cura di), Gay e lesbiche in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.
·         Rigliano P., Ciliberto J., Ferrari F., Curare i gay? Oltre l'ideologia ripartiva dell'omosessualità, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012.
 

FINALMENTE L'OMOSESSUALITÀ VIENE RICONOSCIUTA COME VARIANTE NON PATOLOGICA DEL COMPORTAMENTO SESSUALE
FINALMENTE L'OMOSESSUALITÀ VIENE RICONOSCIUTA COME VARIANTE NON PATOLOGICA DEL COMPORTAMENTO SESSUALE
 

 

 

 
 

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