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“Butterfly”, la serie TV su un* ragazzin* transgender

locandina del telefilm butterfly


A cura di Cecilia Montella

Essere se stess* o obbedire ai genitori, vivere, giocare e vestirsi come un bambino o una bambina: ecco il dramma di fronte al quale si trova Max/Maxine, protagonista di una nuova serie televisiva britannica creata da Tony Marchant ed in onda su FoxLife.
Il primo episodio è stato trasmesso il 14 ottobre scorso ed è stato visto da più di 2 milioni di spettatori. Prima della messa in onda però, ci sono state molte critiche sul web e sui social network, mentre pieno appoggio è arrivato dalle associazioni di transgender inglesi.
“Butterfly” racconta il difficile rapporto diVicky e Stephen, due genitori che vivono una crisi coniugale a seguito della richiesta di cambio di sesso venuta dal loro figlio minore, Max, un bambino di 11 anni chesi trova ad affrontare i temi dell’identità di genere e della sessualità. Il piccolo, infatti, esprime il desiderio di essere una bambina: si veste di rosa, ama truccarsi e ascolta Kylie Minogue.Max odia essere un maschietto: il suo corpo non gli piace, detesta la sua voce roca, vorrebbe invece vestire abiti femminili e giocare con le bambine.Ha appena iniziato le scuole medie, si trova davanti ad un ambiente che cerca d’imporgli le regole binarie vigenti, e per lui/lei c’è lo spettro di una grave depressione.
All’inizio i genitori trovano un compromesso: a casa si veste come vuole, quando è a scuola va con la divisa maschile, ma Max/Maxine non è soddisfatt* da questo compromesso e arriva addirittura a farsi male. La serie abbraccia il pensiero di una famiglia formata da tre generazioni con diversi punti di vista e diverse sensibilità rispetto al tema della disforia di genere.
Stephen, il padre, è convinto che sia una fase passeggera che il figlio sta vivendo e che il bambino sia confuso: ritiene che con la pubertà la voglia di Max di indossare abiti femminili passi. Vuole imporsi, quasi ai limiti della violenza, per raddrizzare il figlio e riportarlo sulla retta via (terribile la scena di quando colpisce Max/Maxine con uno schiaffo mentre sta ballando con gonna e maglione rosa).
La madre invece asseconda maggiormente il/la figl* e gli/le permette di comportarsi “da femmina”. La nonna Barbara è incredula, pensa che sia una moda dei nostri giorni (“oggi tutti vogliono essere diversi”), il nonno invece chiede a Maxine: “perché non puoi dirti semplicemente gay?” confondendo l’identità di genere del/la nipote con il suo orientamento sessuale. Molto positivo è, invece, il personaggio della sorella, Lilly, che combatte al fianco di Maxine per la sua libertà di genere. Stephen e Vicky si trovano ad un certo punto di fronte alla richiesta insistente del/labambin*, determinatissim* nel voler cambiare sesso. Appare decis* e consapevole, comprende il suo sentire intimo e profondo, sa che il suo disagio non riguarda il suo orientamento sessuale: “non sono gay”, comunica, infatti, sia a scuola che in famiglia. Alla fine della mini-serie i genitori tornano insieme per formare una squadra al fianco di Maxine, combattendo anche contro i loro demoni interiori in una scena famigliare tra le più commoventi mai viste.
Il dramma rappresentato, infatti, non riguarda solo Max/Maxine ma l’intero nucleo familiare: “Butterfly” ci costringe, infatti, a riflettere anche sul complesso rapporto tra genitori e figli all’inizio dell’adolescenza. Il processo che porta alla consapevolezza di “avere un bambino rosa” è molto travagliato e delicato e viene affrontato in questa serie con un approccio fluido e non binario. Nonostante la posizione di partenza, però, il regista spinge alla riflessione: lo spettatore si interroga, come i genitori della serie tv, se sia corretto pensare di intraprendere un percorso farmacologico facendo assumere ad un bambino, forse ancora troppo piccolo per andare sulle montagne russe, delle sostanze in grado di rallentare e bloccare la pubertà. Come fare per permettere a Max/Maxine di diventare una farfalla e di esprimere al meglio il suo modo di essere? Il quesito etico ed educativo resta aperto alla riflessione dello spettatore, che si trova finalmente a confrontarsi con una tematica attuale e poco trasmessa mediaticamente fino ad ora.

 

 

 

 
 

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