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E se non supero il test?

Una scelta di ripiego a volte funziona, a volte è come stare in un "limbo"

 

di Maddalena Ligozzi, Brigida Vergona

 
Test ammissione Mostra d'Oltremare

E se non supero il test? È la domanda insistente di tanti studenti che affrontano la prova di ingresso ai numerosi Corsi di studio a numero programmato. Sanno che non ci sono posti per tutti e che, inevitabilmente, molti si ritroveranno fuori. Essere dentro o essere fuori cambia tutto per un giovane studente che prova a diventare "grande" in una società dove, spesso, si lotta per "sopravvivere", per trovare una propria dimensione formativa, lavorativa e di vita, dove conta molto l'intraprendenza e la capacità di reggere lo stress. Essere "fuori", nell'immaginario collettivo, è discriminante, fa la differenza, e può alimentare il senso di esclusione di un giovane che si accinge a sperimentare la propria responsabilità e la propria autonomia in un contesto competitivo come quello universitario.
Ci sono studenti che non si sentono all'altezza della situazione e, avendo scarsa fiducia nelle proprie capacità o un'idea vaga della scelta da perseguire, "tentano" differenti strade, senza investire seriamente le proprie energie in un ambito specifico. Ce ne sono altri che, invece, hanno le idee chiare e puntano tutte le proprie risorse in una sola direzione, impegnandosi per accedere al Corso prescelto. Nel primo caso gli studenti tendono a reagire all'insuccesso, pensando "me lo aspettavo... forse è meglio così, studiare Medicina è troppo difficile!", oppure "va beh, ho studiato poco" o ancora "qui ci sono troppi raccomandati!" etc. In un modo o nell'altro riescono a darsi una spiegazione, non sempre razionale, e a cercare un'alternativa, senza sentirsi devastati dal fallimento, proprio perché non avevano investito tutte le proprie forze su quel progetto. Nel secondo caso, quando il giovane ha scommesso tutto su una scelta, a volte frutto di una decisione antica legata alla propria storia personale, allora la ferita può essere tanto profonda, quanto più è stato intenso l'impegno e forte la convinzione di riuscire. L'idea di considerare un'altra opzione può essere allora dolorosa e viene quindi scartata, almeno inizialmente. Spesso lo studente decide di riprovare il test e, per non "perdere" un anno, sceglie di frequentare un Corso di studi affine, che gli consenta di sostenere esami che potrebbero essere convalidati, nel caso in cui riesca a superare il test di accesso. La decisione di cimentarsi di nuovo col test, per gli studenti più tenaci, è sostenuta da una forte motivazione e da un impegno reale. Se questo non c'è, è come coltivare un sogno, un'illusione, esponendosi nuovamente al fallimento. Per molti studenti considerare l'eventualità di non farcela ancora una volta, diventa motivo di ansia, che può inficiare la concentrazione e, quindi, lo studio. Un nuovo fallimento finisce con l'essere ancor più deleterio per lo stato psicologico di uno studente.
Se gli studenti sono ben equipaggiati interiormente, perché hanno un bagaglio di buone esperienze passate, allora, nonostante gli insuccessi, potranno trovare più facilmente un nuovo equilibrio e accettare di essere "fuori" dal contesto cui aspiravano, provando a ridefinire i propri progetti. Se invece nella vita hanno "collezionato" molte delusioni e dispiaceri, l'insuccesso ripetuto al test di accesso potrebbe essere come la Spada di Damocle che cade su uno stato psicologico già precario.
La seconda scelta all'inizio è sempre combattuta, perché nasce dal vissuto di essere "fuori", "scartato", non idoneo. Molti giovani studenti, che non hanno ottenuto i risultati sperati al test di accesso e hanno scelto un altro Corso di studi simile o completamente diverso, spesso si rivolgono al servizio di Consultazione Psicologica alla fine del primo anno, quando si avvicina il momento di fare un primo bilancio della propria esperienza universitaria: "Quanti esami ho dato?", "Resto qui o vado via?", "Mi conviene riprovare il test? Se andasse male, non potrei sopportarlo di nuovo". La Consultazione non offre risposte preconfezionate, ma aiuta lo studente a riflettere sulla propria personale esperienza e ad affrontare la delusione di sentirsi "fuori" e di "essersi accontentato" di un altro percorso.
Le "scelte di ripiego" vengono, spesso, svalutate e attaccate rispetto alla prima scelta, idealizzata, che non è andata a buon fine e sulla quale sembrano concentrarsi tutti i sogni e i desideri irrealizzati.
Negli incontri di gruppo e nei colloqui, i giovani che sperimentano la seconda scelta tendono a lamentarsi per motivi diversi: "i docenti sono inaffidabili", "l'organizzazione della didattica è precaria", "gli spazi sono carenti", "le strutture sono inadeguate", "i laboratori non sono attrezzati", etc. Per quanto si tratti di argomenti che, in alcuni casi, potrebbero essere fondati, tuttavia in questi discorsi emerge il bisogno degli studenti di mostrare la propria rabbia per aver fallito, per essersi "accontentati", in altri termini essi se la prendono con l'Università per spostare l'attenzione dalle proprie ferite e dalla paura di aver compiuto una scelta sbagliata.
Gli studenti che sono determinati e intenzionati tenacemente a riprovare il test, tendono a non investire troppe energie nella scelta 'di ripiego', non sentono l'appartenenza a quel contesto, e comunicano la loro sensazione di essere in un "limbo", sospesi in un'attesa che può essere svilente.Provvisorietà ed estraneità
A tal proposito ci sembra interessante la testimonianza di Sara, che si è iscritta al primo anno di Tecnologie delle Produzioni Animali (TPA), dopo aver tentato, senza successo, il test di ingresso presso il Corso di Laurea di Medicina Veterinaria. La decisione di frequentare il Corso di Laurea in TPA rientra in una fase di transizione, in quanto l'intenzione di Sara è quella di riprovare il test a Medicina Veterinaria. Tuttavia la studentessa vive con ambivalenza tale scelta. Da una parte, la considera 'di ripiego' e studia per gli esami principalmente per prepararsi meglio al prossimo test e vuole superarli perché le siano convalidati anche a Medicina Veterinaria. Dall'altra, però, studia con ansia e preoccupazione, perché teme di non riuscire a essere ammessa al Corso desiderato. Inoltre emerge una tendenza a svalutare e a sottostimare i docenti dell'indirizzo di studi 'di ripiego', che ella considera di serie B. Tra studenti come Sara è molto comune la sensazione di sentirsi in attesa di una maggiore definizione della propria identità, che si può costruire attraverso l'appartenenza ad un contesto universitario specifico.
Gli studenti che vanno in "crisi" per queste problematiche comunicano un vissuto di esclusione e un senso di estraneità legato a una scelta sentita come provvisoria. Come si fa ad uscire da questo stato di provvisorietà?
Quando si decide di "restare", la situazione si "aggiusta" strada facendo. Quando uno studente comincia a frequentare l'ambiente universitario e a trovare una propria dimensione, può sviluppare un senso di appartenenza, si riconosce nei luoghi e comincia ad abitarli e, quindi, prova a tamponare la propria ferita e a pensare che ci sono comunque dei benefici in quella scelta 'di ripiego'. Se, poi, riesce a ottenere risultati soddisfacenti ai primi esami, allora si fa strada l'idea che gli conviene proseguire, ridimensiona la propria sensazione di fallimento e prova a ridefinire i propri obiettivi nel nuovo contesto. Il senso di provvisorietà si può ridurre quando lo studente comincia a metabolizzare il lutto, rinunciando al sogno iniziale e comincia a mettere radici presso quel Corso di studio: cerca punti di riferimento nel proprio percorso, considerandolo un'alternativa altrettanto valida. Finalmente sua.