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"Procedure di riconoscimento precoce e gestione degli alunni con DSA": l'esperienza dei tutor al corso

a cura di Livia Nasti

L'Ufficio Scolastico Regionale della Campania in collaborazione con il Centro di Ateneo SInAPSi dell'Università di Napoli Federico II ha promosso un corso di formazione che ha avuto come oggetto "Le procedure di riconoscimento precoce e la gestione in classe degli alunni con DSA". Il corso, rivolto a 150 docenti delle scuole di ogni ordine e grado della Campania, è stato realizzato dall'equipe multidisciplinare del Centro SInAPSi (psicologi, pedagogisti, tecnici ed ingegneri biomedici).
Nell'articolazione delle attività didattiche, i 150 partecipanti al corso sono stati suddivisi in 6 gruppi di 25 docenti che hanno seguito le attività presso 4 scuole della Campania: tre gruppi presso la scuola Tito Livio di Napoli, un gruppo alla scuola Calcedonia di Salerno, un gruppo alla scuola Roncadi Solofra, un gruppo alla scuola Manzoni di Caserta. I professionisti del Centro SInAPSi, uno psicologo, un pedagogista e un tecnico/ingegnere biomedico per ciascun gruppo, hanno programmato le attività didattiche in modalità blended, con 24 ore di lezioni frontali, recandosi presso le varie sedi della Campania, e 26 ore on line, mediante una piattaforma dedicata al corso, per un totale complessivo di 50 ore.
La frequenza alle lezioni frontali è stata così arricchita dai contenuti resi disponibili in piattaforma: contenuti multimediali presentati durante le lezioni frontali, moduli multimediali appositamente prodotti, materiali già presenti in rete e riorganizzati, programmi e software che si utilizzano nella didattica con studenti con DSA. Inoltre, a ogni gruppo è stato aggiunto un tutor d'aula che ha avuto il compito di coadiuvare il formatore nella gestione degli aspetti organizzativi e amministrativi (orario, registrazione delle presenze, allestimenti). Ai tutor che hanno partecipato al corso, nella veste anche di "compagni di viaggio", accanto ai formatori e ai discenti, è stato proposto di condividere la propria esperienza personale e formativa con i lettori della newsletter del SInAPSi. Alla nostra proposta di realizzare un contributo hanno risposto i tutor della Scuola Tito Livio producendo un'unica testimonianza e la tutor della scuola Calcedonia di Salerno.
Qui di seguito i testi delle due testimonianze sul corso.

La voce dell'I.C. Calcedonia

Mi chiamo Anna Maria Aurucci, sono un'insegnante dell'I.C. Calcedonia di Salerno.
Vi scrivo in veste di tutor d'aula del corso, per condividere con tutti voi la mia esperienza.
Ritengo che il corso sia stato molto interessante, utile e soprattutto completo.
A renderlo particolarmente proficuo e completo è stato l'approccio multidisciplinare col quale l'argomento DSA è stato trattato.
L'intersecarsi di diverse ottiche (psicologica, pedagogica e tecnologica) ha consentito a noi corsisti di avere una visione completa del problema, dandoci la possibilità di leggerlo da punti di vista differenti.
I relatori hanno voluto sostanzialmente catalizzare la nostra attenzione di insegnanti sull'importanza di una diagnosi precoce del disturbo, mirando a fortificare la nostra capacità di leggerne i segni predittivi e sollecitando la nostra sensibilità ad attuare adeguati programmi di screening.
Sì, perché la parola che più di altre contiene in sé i diversi punti di vista di cui parlavo e che rappresenta per la scuola un buon punto di partenza e di prevenzione, è sicuramente la parola screening.
Un programma di screening è già possibile in età prescolare, quando possono essere osservati alcuni indicatori critici della possibilità che un bambino manifesti in futuro un disturbo della letto-scrittura.
In età scolare (preferibilmente nei primi due anni di scuola primaria) lo screening  può essere davvero uno strumento molto prezioso per noi insegnanti per rilevare la presenza all'interno della classe delle diverse problematiche e impostare metodiche di insegnamento più adatte a quei bambini che, per motivi diversi, fanno fatica ad apprendere.
Inoltre strategie di insegnamento inefficaci col passar del tempo potrebbero portare alla cronicizzazione del disturbo, al fallimento del processo di apprendimento e a danni derivanti dalla frustrazione per l'insuccesso: bassa autostima, problemi emotivi e relazionali, ansia, perdita di motivazione ad apprendere.
Ecco perché tutte le attività svolte in classe dovrebbero tendere a realizzare una didattica davvero inclusiva, una didattica cioè da cui tutti gli alunni possano trarre giovamento.
Infatti, un sistema scolastico autenticamente democratico non fa, per dirla con Don Milani, parti uguali tra disuguali, ma si impegna a tener conto delle differenze che esistono tra gli studenti e di adeguare ad essi gli interventi educativi e didattici.
La "voce" pedagogica del corso ci ha fatto invece riflettere su quelli che potrebbero essere gli effetti negativi della "medicalizzazione del disturbo" e sul fatto che la diagnosi dev'essere un mezzo che ha sempre come fine l'orizzonte pedagogico.
Ciò deve portare noi insegnanti a non mettere l'accento sui sintomi, le incapacità e i problemi, bensì sulle potenzialità, le capacità e il saper fare degli alunni.
Lo stesso discorso vale per gli strumenti compensativi, che di sicuro rappresentano per questi studenti un'opportunità di autonomia, ma rischiano di fallire nel loro intento, se non sono inseriti in una cornice educativa e relazionale, che è una cornice indispensabile per ogni attività di sviluppo e apprendimento, ancora di più se lo sviluppo e l'apprendimento riguardano un soggetto con DSA.
Concludo ringraziando i nostri relatori, la dottoressa Livia Nasti, il dottor Alfonso Gentile, l'ingegnere Gennaro Sicignano per l'impegno profuso nella gestione di questo corso e per la professionalità e la disponibilità dimostrate. In tutte le lezioni hanno saputo coinvolgerci e motivare, hanno favorito uno scambio di idee e hanno ascoltato con interesse le nostre esperienze di casi relativi ad alunni DSA presenti nelle nostre classi apportando consigli preziosi e utili.
Molto utile è stato anche tutto il materiale messo a nostra disposizione in piattaforma nonché la possibilità che ci è stata gentilmente concessa di accedere ai sw Giada e Sofia.

La voce della S.M.S Tito Livio

Il percorso formativo Referente DSA ai sensi del DM art. 7 comm. 2 del 12 luglio 2011, promosso dal SInAPSi, in collaborazione con l'USR Campania, e svolto presso la S.M.S. Tito Livio, è stato organizzato in tre diversi corsi, a cui hanno partecipato un numero di 25 docenti curriculari, con un tutor d'aula. Hanno tenuto le lezioni esperti in psicologia, pedagogia e tecnologie informatiche e riabilitative, che sono le principali aree implicate nella gestione delle difficoltà di apprendimento. I corsi si sono svolti per un numero di sei incontri, per un totale di 24 ore frontali.
I partecipanti dei singoli corsi hanno dimostrato grande motivazione e interesse rispetto alle tematiche trattate, di conseguenza anche la frequenza è stata costante, per una media di 20 partecipanti per ogni corso.
Dal corso è emerso quanto sia difficoltoso, per un docente, cogliere in uno dei suoi ragazzi i segnali di una possibile dislessia: questo anche perché essa manca di marcatori biologici e chi ne è portatore presenta spesso un buon livello di socializzazione, buone doti intuitivo-creative e potenzialità artistico-espressive. Un altro aspetto che rende più difficoltoso il riconoscimento del disturbo o, almeno, agli occhi di noi insegnanti di scuola superiore, il sospetto della sua presenza, consiste nel fatto che, mentre nella scuola  primaria il bambino con dislessia mostra una differente prestazione nella lettura rispetto ai suoi coetanei, nei gradi successivi lo scarto iniziale tende a essere compensato da meccanismi di accumulo di esperienza e dall'attivazione spontanea di strategie compensative. Un disturbo specifico dell'apprendimento (DSA) pone il ragazzo, in ambito scolastico, in una oggettiva situazione di difficoltà, che però può essere ben compensata, qualora a una diagnosi precisa e il più tempestiva possibile faccia seguito, in sinergia con il percorso riabilitativo messo in atto dal personale medico-sanitario specializzato, l'adozione in classe degli strumenti compensativi e delle strategie dispensative previste dalla normativa (Legge 170/2010).
La dislessia comporta un diverso stile di apprendimento e, come tale, può anche essere vista non come un problema ma come una caratteristica. Non è solo una questione lessicale, ma si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione copernicana: infatti, il termine "disturbo" sottolinea l'origine neurobiologica, evita definizioni improprie ed è tipico dei tecnici; il sostantivo "disabilità" non indica una condizione soggettiva della persona ma una relazione sociale. Esso richiama immediatamente una rivendicazione etica di pari opportunità: l'organizzazione sociale deve abilitare le persone, comprese quelle intelligenti che leggono lentamente. "Caratteristica", invece, fa riferimento alla neuro-diversità, cioè alla normale differenza individuale fra gli esseri umani. Dislessia, disortografia e discalculia possono essere definite caratteristiche dell'individuo, fondate su una base neurobiologica; il termine dovrebbe essere utilizzato dal clinico e dall'insegnante in ognuna delle possibili azioni (descrizione del funzionamento nelle diverse aree e organizzazione del piano di aiuti), che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità individuali e, con esso, la qualità della vita. L'uso del sostantivo "caratteristica" può favorire nell'individuo, nella sua famiglia e nella comunità una rappresentazione non stigmatizzante del funzionamento delle persone con difficoltà di apprendimento; il termine "caratteristica" indirizza, inoltre, verso un approccio pedagogico che valorizza le differenze individuali e aiuta il ragazzo a costruire un'immagine realistica, positiva e attiva di se stesso (cfr. la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità: "La società deve imparare ad accogliere e favorire lo sviluppo delle persone con particolari caratteristiche").
Le caratteristiche richiedono strategie nuove che siano in grado di ottimizzare e rendere efficaci i punti di forza della caratteristica stessa e contemporaneamente ridurne o neutralizzarne le criticità. Alla luce di questa affermazione molti cominciano a considerare la dislessia solo come un percorso diverso di apprendimento e ad affrontarlo in quanto tale. Lo stile di apprendimento di una persona con dislessia privilegia i canali non verbali, quali il visivo, l'uditivo, il cinestesico, cioè le immagini, l'ascolto e l'esperienza diretta. Si tratta di un apprendimento multisensoriale: quello visivo si avvale di immagini, schemi, mappe mentali e concettuali, filmati; quello uditivo richiede registrazioni, attività che accentuano il ritmo, il tono e il volume della voce; quello cinestesico registra progressi attraverso il toccare, il muovere, il compiere attività pratiche, quali disegnare, costruire mappe, manipolare oggetti, svolgere attività laboratoriali.
Le tematiche affrontate nel corso - come le caratteristiche diagnostiche dei DSA, i protocolli per un intervento preventivo, la sperimentazione di strategie didattiche e degli strumenti compensativi, la compilazione del PDP - hanno riscontrato grande interesse e partecipazione nei docenti curricolari di ogni ordine e grado, spinti dalla necessità di comprendere un percorso più idoneo ed efficace da applicare nei confronti dei propri alunni con diagnosi di DSA.