Ho cominciato a lavorare nella Scuola nel 1975, giusto in tempo per partecipare al processo di democratizzazione del Sistema. Cominciato con l'istituzione della Scuola Media Unica nel 1963, esso ha espresso picchi di eccellenza con la Legge 517 nel 1977 e i piani di intervento per contrastare il disagio giovanile secondo le strategie dell'Ottica sistemica, previsti dalla Circolare Ministeriale n. 257 e l' Ordinanza Ministeriale n. 350 del 1994.
La Legge 517 abolì le classi di aggiornamento e le classi differenziali previste dagli articoli 11 e 12 della legge 31 dicembre 1962 e, per la prima volta, pose al centro dell'attenzione l'alunno:
Al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni.
Nell'ambito della programmazione di cui al precedente comma furono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps da realizzare mediante la utilizzazione dei docenti, di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in servizio nella scuola media e in possesso di particolari titoli di specializzazione, che ne facessero richiesta, entro il limite di un'unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicap e nel numero massimo di sei ore settimanali.
Allo stesso tempo la stessa Legge istituì con l'art. 8 "le funzioni integrative e di sostegno dello studio sussidiario e delle libere attività complementari, nonché le condizioni necessarie perché potesse prevedersi il funzionamento, oltre che del doposcuola, della prescuola e dell'interscuola".
Negli anni '90 l'attenzione ai processi di integrazione raggiunse livelli pregevoli per l'attenzione posta ai modelli organizzativi.
Quando era di moda la Complessità, la Scuola era studiata e monitorata come sistema complesso ed era prassi la condivisione di motivazioni ed obiettivi per poter condividere le responsabilità.
Si studiava un modo per avvicinare la Pubblica Amministrazione ai cittadini, sostituendo l'organizzazione verticale e gerarchica con quella orizzontale dei tavoli di lavoro interistituzionali.
I feedback continui sostenevano la sinergia positiva, propria dei sistemi viventi, che mentre producono beni e servizi si autorganizzano e si rinnovano secondo i bisogni.
Per un po' ci abbiamo creduto.
Poi arrivò l'Autonomia e il decentramento fu interpretato come banale trasferimento di poteri dal centro alla periferia, dal grande al piccolo.
Quasi contemporaneamente una Finanziaria, voluta da Governo e Sindacati in perfetta sintonia, distrusse il lavoro svolto.
L'Apparato ha ripreso la sua forma verticale di monade senza finestre e siamo tutti più poveri, non più capaci dell'arte della maieutica né di condividere le scelte o relativizzare il punto di vista.
Quando nel gennaio del 1998 Marco Rossi-Doria e io, provenendo da esperienze diverse ma complementari, pensammo di attivare il progetto Chance per i ragazzi "fuori taglia", pensavamo a un intervento eccezionale di recupero; lì dove non erano stati sufficienti gli interventi di prevenzione, all'epoca quasi di routine nelle classi.
Assolutamente non sostitutivo della scuola normale, il progetto puntava infatti sul reinserimento degli allievi dopo un anno di lavoro intenso. Ci rendemmo conto subito che un anno era troppo breve per sanare le carenze e le ferite di cui quel tipo di ragazzi è portatore.
Per questo chiedemmo al Prof. Paolo Valerio di aiutarci a "mantenere la rotta" costruendo una seconda linea per la tenuta del gruppo di lavoro.
Mi aspettavo che il tempo e l'esperienza avessero prodotto delle riflessioni utili a far diventare routine nelle nostre scuole gli interventi per l'inclusione, rispondenti al dettato costituzionale (art. 3).
Anche per questo, superato il concorso d'accesso, ho preferito lavorare all'interno dell'Istituzione Scuola, nei gruppi di lavoro dell'Ufficio scolastico regionale della Campania a supporto dell'autonomia delle scuole.
Dopo circa quindici anni, invece, un'inversione di tendenza, fondata sulla semplificazione fino alla banalizzazione, con l'impoverimento dei contenuti e l'abbassamento del livello culturale, ma anche sull'assenza di monitoraggi e sulla carenza della comunicazione tra istituzioni o tra i diversi livelli delle stesse, ci fa ruzzolare all'indietro e mette duramente in crisi le riflessioni prodotte a partire da esperienze empiriche, ma sostenute dai pedagogisti dell'educazione attiva, come Canevaro e Bruner, Vygostkij e Freinet.
Anche per questo, raggiunti i quarant'anni di servizio, ho lasciato la Scuola, per non sentirmi più fuori moda.
È finito il mio rapporto amministrativo con l'USR Campania e il MIUR, ma non il mio interesse per le scienze umane né il mio impegno civile, che hanno reso piacevole e a tratti entusiasmante il mio lavoro .
Sostenuta dall'autorevolezza del lavoro svolto con onestà e passione, ho cercato ancora di diffondere gli strumenti a sostegno dell'Educazione attiva.
Con questo spirito ho tradotto in italiano la Guida per Genitori e Docenti di bambini dislessici.
La Guida, prodotta da un gruppo di lavoro europeo inizialmente coordinato dall'Università Karl-Franzens di Graz e diffusa in otto paesi della comunità europea, è ora pronta per essere diffusa anche in Italia.
Un'impresa un po' troppo impegnativa per una "don Chisciotte" solitaria. Ho cercato allora di rinnovare la rassicurante alleanza con il Prof. Paolo Valerio. Ho ritrovato nel Centro di Ateneo SInAPSi il clima lavorativo tanto amato, costruito sulla integrazione delle professionalità, sul confronto e la discussione costruttiva.
Mi sovviene il proverbio africano: Per educare un bambino occorre tutto il villaggio.