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Tu chiamali se vuoi ... BES.

di Bruno Galante

L'acronimo BES relativo ai Bisogni Educativi Speciali è entrato a far parte del linguaggio del mondo della scuola italiana. Dal dicembre 2012 al novembre 2013, con quattro documenti, il Ministero della Pubblica Istruzione è intervenuto presso le scuole di ogni ordine e grado, per sottolineare che nello svantaggio scolastico rientrano problematiche diverse. Si evidenzia che è opportuno fare riferimento al modello europeo di scuola inclusiva e viene delineata l'area dei Bisogni Educativi Speciali o BES (in altri paesi europei: Special Educational Needs). In questa area vengono comprese tre grandi sotto-tipologie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale (cfr MIUR Direttiva 27 dicembre 2012 Strumenti d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica). I quattro documenti, che Dario Janes definisce "il poker di circolari", hanno una struttura simile, la quale si articola in un'area valoriale che costituisce la premessa e un'area centrale che concerne l'organizzazione interna a cui le istituzioni scolastiche devono puntare. L'ultima area è relativa all'organizzazione territoriale alla quale le istituzioni scolastiche devono puntare in prospettiva. Ripercorrere il dibattito molto animato che si è creato nel mondo della scuola, evidenziare le osservazioni pedagogiche di esperti concorre a delineare il contesto da cui partire per una ricerca pedagogica sull'inclusione scolastica e che miri a considerare la scuola una comunità di pratiche  che sappia interrogarsi e riflettere sulla intersezione di numerosi fattori, quali comunità scolastica e contesto sociale, pratiche educative, identità e appartenenza dei vari protagonisti nelle relazioni e nelle esperienze educative.
L'area valoriale
La direttiva dicembre 2012 e le circolari applicative che sono seguite si muovono in un'area valoriale che sottolinea la necessità di una scuola inclusiva più che selettiva.
Scuola che sia pronta ad assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l'identificazione degli alunni con difficoltà non avviene solo sulla base della eventuale certificazione. La giustificazione di tale approccio ha le sue basi nel modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell'OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale che si interroga sul funzionamento della persona e sull'analisi del contesto, prescindendo da preclusive tipizzazioni.
I documenti, mentre sembrano sposare la Convenzione, insistono maggiormente sul concetto di certificazione che su quello di osservazione e di qualità della relazione.
La giusta responsabilità da cui vengono investiti i consigli di classe per la messa a punto di Piani Didattici Personalizzati (PDP)  più che essere incanalata verso l'intreccio di modelli di didattica inclusiva, verso i rapporti con le famiglie degli alunni per l'accesso a utili informazioni, viene incanalata verso la prospettiva del diritto o non diritto dell'alunno alla personalizzazione dell'apprendimento. Si insiste sulla necessità delle delibere del consiglio di classe e sull'aspetto burocratico della firma del Dirigente scolastico e della famiglia, per cui oltre a temere, da parte di molti, la medicalizzazione del disagio e dello svantaggio, si paventa anche l'insorgere di possibili contenziosi legali.
L'area dell' organizzazione interna della scuola
Non sfuggono ad alcuni esperti, attenti al reale contesto dell'organizzazione interna della scuola, le difficoltà intersoggettive in cui si imbatteranno i consigli di classe per raggiungere delibere unanimi . L'enfasi che i documenti pongono verso il ricorso alle misure compensative e dispensative non dice nulla sulla necessità di un processo educativo che sia teso a valorizzare le dinamiche di classe e nello stesso tempo faccia riflettere i docenti sulla prospettiva - scomoda - di coevoluzione educativa con gli alunni. Nell'ambito del convegno dal titolo significativo BES, DSA, PDP... la scuola alla sagra degli acronimi, organizzato lo scorso febbraio dalla Gilda insegnanti di Padova, risulta molto chiara, anche se non del tutto condivisibile per gli aspetti relativi alla conduzione della classe, la posizione assunta da Giorgio Israel. Nella sua relazione lo studioso si mostra molto perplesso in particolare rispetto al fenomeno degli alunni DSA. e evidenzia che esso sia stato amplificato dalla legge 170. In una recente intervista, Giorgio Israel auspica un insegnante "che punti verso obbiettivi comuni e tendenti verso l'ottimo, che cerca di elevare tutti gli allievi verso questi 'standard' più elevati, con un'attenzione speciale ai singoli casi e cercando di recuperare gli allievi in maggiore difficoltà" . Commentando le circolari il professore Israel si dichiara contrario alla medicalizzazione dell'istruzione e fa intravedere come "lauti interessi economici" e molti abusi si possano annidare dietro fraintesi processi d'inclusione.
La normativa sui DSA non è apprezzata neppure da Raffaele Iosa il quale, con colorita espressione, ravvede nella legge 170 un "modello neurocontrattuale della pedagogia basato sulla pretesa" che fa approdare in alcuni casi alla prospettiva secondo la quale "è meglio un buon malato che un bocciato" .
L'area dell'organizzazione territoriale
In questo problematico contesto le circolari inseriscono aspetti relativi all'organizzazione territoriale e un ricorrente incoraggiamento a sperimentare "buone prassi". Addetti ai lavori giudicano contraddittoria l'indicazione contenuta nella Circolare n. 8 del marzo 2013, secondo la quale "a titolo esemplificativo, sul sito del MIUR  saranno pubblicati alcuni modelli di PDP". Si chiedono alcuni: "Che fine fa la personalizzazione? È questa la modalità per promuovere 'buone prassi'?" .Sembra che la filigrana sottostante le circolare sui BES articoli il suo ordito verso un rinforzo al possesso delle conoscenze; verso l'individuazione di tutti gli "anormali"; verso l'abilità dei docenti a sapere classificare ed etichettare. Si fanno intravedere incentivi economici per chi attua "buone prassi", ma si parla poco di benessere della persona.
Le circolari quasi ignorano quanto ci sia stato e ci sia di buono nella scuola e sembrano spingere alla valutazione di competenze e di performance e a far convergere la prospettiva dell'inclusione sull'asse della meritocrazia e della tecnocrazia.
Non ne esce vincente una scuola basata sulla realtà dei legami, che attivi "uno sguardo amorevole sul mondo" e che soprattutto abbia "un senso rinnovato e potenziato della convivenza umana" .
Sembra che le circolari facciano fare un passo indietro alla scuola. Il decreto legislativo n. 139 del 22 agosto 2007, dedicava il titolo terzo del regolamento ai Piani educativi individualizzati per gli alunni diversamente abili. Le linee guida relative all'attuazione del decreto tendevano a valorizzare l'autonomia delle scuole spingendo la collegialità dei docenti verso l'adozione della Ricerca Azione (A/Z) quale metodologia essenziale per l'individuazione di metodologie e di strategie educative utili per il successo formativo.
Le indicazioni relative ad accordi di programma e alla creazione dei CTS-Centri Territoriali di Supporto quale rete di scuole polo per l'inclusione non tengono conto delle difficoltà oggettive di carattere economico ed interistituzionale che già si sono evidenziate nell'avviare il funzionamento dei Gruppi di Lavoro Interistituzionali previsti dalla legge 104/92 (art. 15).
L'arte di "emanare, annunciare, chiarire, chiarire i chiarimenti"
C'è da chiedersi come mai il Ministero abbia avvertito l'esigenza di emanare la direttiva e farla seguire, nell'arco di solo undici mesi, dalla circolare del marzo 2013, dalla nota "Piano Annuale per l'Inclusività", giugno/2013, e dalla nota novembre/ 2013 " Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali A.S. 2013/14 Chiarimenti". Che cosa ha spinto il Ministero, a "emanare, annunciare, chiarire, chiarire i chiarimenti" ?
È necessario fermarsi.
È necessario fermarsi per evitare di essere travolti da una valanga di circolari che fa appello a norme europee, che richiama con orgoglio emotivo un passato di leggi che hanno sancito il diritto all'istruzione e al successo formativo e che si ripropongono senza saperle coniugare coi mutati contesti sociali.
È necessario superare il malinteso e prendere le distanze dall'idea che per andare verso l'inclusione si debba procedere con ulteriori aggiunte. Si adottano nuove sigle senza tesaurizzare con un rinnovato impegno etico ciò che già vive e si muove nella pratica quotidiana e senza valorizzare le proposte per una didattica inclusiva già presenti ed esplicitate nella normativa.
C'è da chiedersi come mai soltanto nella nota dello scorso novembre, nella serie di "chiarimenti", il Ministero faccia riferimento al D.P.R. 275 del 1999, noto come "Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche". Il successo formativo è il cardine di questo regolamento che spinge le istituzioni scolastiche verso la ricerca di forme autonome di gestione pedagogica del gruppo classe come spazio inclusivo e laboratorio permanente. Sollecita verso la costruzione del patto educativo "scuola-famiglia-territorio" e rimanda ai concetti fondamentali di flessibilità, di territorialità e di responsabilità .
Sapere praticare flessibilità, sapere individuare nel rapporto di rete territoriale opportuni legami, sapere e volere assumere scelte significative con responsabilità sono i nodi essenziali di un processo di scuola inclusiva su cui interrogarsi.
L'interrogarsi sul perché di quattro documenti e riflettere sul dibattito sorto intorno ad essi può offrire indicazioni utili.
Risulta con evidenza che vi siano state, da più parti, manifestazioni di disagio da parte di dirigenti scolastici e da parte di insegnanti. Risulta evidente che nel mondo della scuola e degli addetti ai lavori si siano creati interrogativi. Probabilmente non sono ancora patrimonio di tutti l'attitudine pedagogica a fare leva sugli elementi positivi della persona-alunno/a e a puntare su elementi facilitatori dell'organizzazione didattica su cui fare leva per realizzare i concetti afferenti all'inclusione e al sottostante modello diagnostico ICF dell'OMS.
La responsabilità educativa oltre la scuola
Le manifestazioni di disagio e gli interrogativi di una scuola attiva sono utili per mettere a fuoco un differente approccio alla tematica dell'inclusione.
Sono segnali che suggeriscono spunti di ricerca.
Un primo spunto consiste nell'andare sia a evidenziare quante numerose siano le componenti che si intrecciano nel discorso relativo all'inclusione scolastica, sia studiare in un quadro sistemico di riferimento la specifica diversità di queste componenti.
Un secondo spunto è l'andare a interrogarsi su quali risonanze emotive gli aspetti afferenti all'inclusione, nelle prospettive dell'ICF, assumano negli insegnanti e nell'intero contesto scuola.
Un terzo aspetto pone l'interrogativo su quali modalità di formazione mettere a punto.
Con i docenti, con i genitori, con gli studenti è necessario interrogarsi per transitare verso forme di comunicazione e di didattica inclusiva, mettendo in secondo piano le rivendicazione di diritti.
È il momento non solo di declinare l'ICF ma anche di chiedersi a che livello avranno reagito dentro di sé i partecipanti al seminario della Gilda di Padova quando, nel corso del suo intervento "La Grande Malattia, la iatrogenesi educativa", l'ispettore Raffaele Iosa ha affermato che"l'ICF non è legato alla disabilità ma è un'unità di misura per tutti"?
Sarebbe utile interrogarsi su quali risonanze abbia l'enunciato "la disabilità è il risultato dell'interazione tra le caratteristiche delle persone e le barriere attitudinali e ambientali che incontrano"
Insomma che cosa è in gioco oggi?
Da dove rifare il punto delle esperienze e dei risultati maturati da insegnanti donne e uomini nelle scuole?
"Essere vicini, condividere è fondamentale per assumere responsabilità credibili, sia per chi si prende cura di altri che per chi ha bisogno dell'attenzione dagli altri. Ci stiamo tutti dentro..." (Canevaro, 2013). L'ICF riguarda il funzionamento, le disabilità e la salute.
Canevaro osserva che nella progressione dei termini la parola funzionamento precede la parola disabilità. La logica vuole che si osservi "come funziona - non che funzione ha - un soggetto". Saper realizzare concretamente questo tipo di osservazione educativa vuol dire mettere in pratica l'andare oltre la medicalizzazione. È sapere prestare attenzione per osservare elementi minimi e valorizzarli. È il momento in cui un'istituzione scolastica inizia a percepire bene che mettere a punto "buone prassi" non è una somma di interventi ma la messa a fuoco di un progetto unitario.
Il progetto unitario è la garanzia dell'individualizzazione, del percorso che sa tenere in conto le differenze individuali.
In questa prospettiva, Canevaro, nell'intervento già citato, indica come indispensabile e caratterizzante un processo di formazione organizzata che si realizzi in équipe interdisciplinare e interprofessionale. Ma egli stesso nota che "a tanti anni di avvio, questa è una necessità ancora largamente incompiuta", perché spesso non si possiede una visione d'insieme e un progetto più ampio che marci realmente verso l'inclusione.
Questo punto non raggiunto implica la disponibilità da parte degli insegnanti, dei genitori, degli psicologi, dei sanitari a volere "rivedere lo specifico della propria professionalità e curarne l'interfaccia interistituzionale come elemento fondamentale del proprio operare".
Appartenenza e processo d'inclusione: la scuola come comunità di pratiche
Il vivere sociale si svolge in una continuità in cui rientrano e si alternano in modo normale elementi dialogici e conflittuali. Puntare all'inclusione è, quindi, volere innescare un processo in cui, con continuità, ci si interroghi e si rifletta per la messa a punto di azioni che diano senso e profondità all'interagire. La strutturazione di situazioni di apprendimento, la messa a fuoco di misure dispensative e compensative nascono non dall'applicazione della norma né dall'utilizzo di griglie di osservazione, né dalla possibilità di potere fruire di attrezzature tecnologiche di avanguardia.
L'interrogarsi, il dialogo e l'ascolto con l'alunno, con la classe, con la famiglia caratterizzano una scuola come possibile "comunità di pratiche". L'ascolto dialogico è l'elemento che fa affinare le procedure. Nel dialogo la scuola può predisporsi alla costruzione di propri strumenti di osservazione, può adeguare la didattica, può programmare le modalità di utilizzo significativo delle tecnologie che oggi sono irrinunciabili.
Nel contesto educativo ciò genera appartenenza. L'appartenenza è possibile quando per ciascuno dei singoli protagonisti è praticabile la possibilità di accettare i vincoli necessari e di riconoscere i limiti, ma anche la possibilità di esprimere il rifiuto su cui confrontarsi. Infatti, come afferma Canevaro nell'articolo già citato, "il diritto alla rabbia è importante e va reso costruttivo". Nel paragrafo L'immedesimazione nell'altro e la disponibilità  al dialogo l'autore evidenzia come "la capacità di conflitto e la volontà di compromesso" siano due polarità su cui si gioca un processo di inclusione.
Al pedagogista non sfugge che l'inclusione si elabori lentamente. Egli precisa che  "gli spazi di narrazione condivisa sono essenziali per entrare in contatto con le parti emozionali di ciascuno". Rilevante è la riflessione in base alla quale questi spazi/tempo generano "la capacità di immedesimazione" che è "un costrutto culturale che viene elaborato attraverso rituali ed occasioni".
Per tale motivo "tu chiamali se vuoi... 'BES'", nella consapevolezza che oggi è necessario non evitare di interrogarsi, è necessario non evitare la conflittualità, è utile guardare i contesti e i processi e scoprire i segnali positivi per avviarsi verso una possibile ri-volta nel senso positivo di contestazione dei "poteri già stabiliti" (Kristeva, 2013).
Riferimenti bibliografici
Canevaro, A. (2013), "Educazione come inclusione", relazione al convegno La Qualità dell'integrazione scolastica e sociale, IX Convegno internazionale, Palacongressi di Rimini 8-9-10 novembre 2013.
Kristeva, J. (2013), L'avvenire di una rivolta, Genova: il melangolo.